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Ultima uscita per Brooklyn, cinquant’anni dopo
Sulle tracce di Hubert Selby Jr. attraverso il quartiere ritratto nel suo romanzo

Henry Stewart Autori, BIGSUR, Ritratti

Questo reportage è stato pubblicato nell’ottobre 2014, in occasione del cinquantenario di Ultima uscita per Brooklyn, sulla rivista online Brklynr, e viene qui riprodotto per gentile concessione dell’autore.

di Henry Stewart
traduzione di Chiara Messina
foto di Eric E. Anderson

Nell’autunno di cinquant’anni fa, la Grove Press diede alle stampe Ultima uscita per Brooklyn, uno sconvolgente romanzo formato da racconti collegati — già pubblicati da Hubert Selby Jr. su varie riviste letterarie a partire dal 1957 — che divenne subito un controverso classico sul degrado urbano del dopoguerra, popolato di alcolizzati, tossici, omosessuali brutalmente repressi, travestiti perseguitati, operai esausti e teppisti perdigiorno. Non si tratta dell’unico dei sei romanzi (e della raccolta di racconti) di Selby ancora in circolazione — la Da Capo Press pubblica ancora il suo libro più noto, Requiem for a Dream, grazie senza dubbio, almeno in parte, all’adattamento cinematografico di Darren Aronofsky del 2000 — ma è il solo che mi sia mai capitato di vedere sugli scaffali delle librerie indipendenti di Brooklyn, nei rari casi in cui abbiano ancora a disposizione qualcuno dei suoi scritti. Eppure, né la Grove né altri hanno annunciato di avere in cantiere un’edizione celebrativa del cinquantesimo anniversario; sembra che la speranza di Allen Ginsberg (un tempo utilizzata come pubblicità a tutta pagina sul New York Times, ora come citazione promozionale sulla copertina del tascabile) che il libro «esplodesse sull’America come un’infernale granata arrugginita e fosse ancora letto dopo cent’anni» si sia infranta.

Magari perché l’opera contrasta apertamente con la nostra attuale concezione culturale di Brooklyn: il paradiso della gentrificazione, il luogo a cui la classe borghese ha fatto ritorno dopo che le precedenti generazioni lo avevano abbandonato. I derelitti che si arrabattano per vivere esistono ancora ai margini di Brooklyn, ma non ne rappresentano più l’immagine, un’immagine di cui Selby è stato almeno in parte responsabile. «Il libro di Selby […] ha contribuito ad attribuire alla Brooklyn degli anni Sessanta la forma di una comunità decadente e minacciosa», scrive Evan Hughes nella sua imprescindibile inchiesta, Literary Brooklyn. «Pur non avendo letto il libro, bastava averne sentito parlare per sapere che dipingeva una realtà urbana da incubo, e la parola “Brooklyn” era proprio lì, nel titolo».

Le sei storie che compongono il romanzo (eccetto una, che ha luogo all’interno delle Red Hook Houses, un complesso di case popolari edificato nel 1938) sono ambientate nella parte sudoccidentale del quartiere che dà il titolo al libro, in una zona di fabbriche e cantieri subito a nord della più residenziale Bay Ridge, dove è cresciuto l’autore. La biografia che accompagna l’originaria edizione tascabile – scritta da un amico di lunga data di Selby, suo ex compagno di classe, mentore in età adulta e editor presso la Grove Press, il romanziere Gilbert Sorrentino — nota, fregandosene bellamente di fornire pretenziose credenziali accademiche, che lo scrittore si era diplomato alla P.S. 102, la scuola elementare pubblica su Ridge Boulevard. Conosciuto per buona parte della sua vita col soprannome di Cubby [«Cucciolotto»], Selby era nato nel 1928 al Victory Memorial Hospital, appena un anno dopo che era stato aperto sopra uno stagno interrato all’incrocio tra la Settima Avenue e la Novantaduesima Strada. (Prima che chiudesse nel 2008, l’ospedale era rinomato tra la gente del luogo per il suo reparto maternità, ma non per la qualità dei servizi generali.) Suo padre era un minatore di carbone trapiantato dal Kentucky e un ex dipendente della Marina Mercantile che si era stabilito a Bay Ridge con la moglie, Adalin. Della famiglia si ricordano svariati domicili, probabilmente perché si spostava spesso: «nei pressi dell’Ottava Avenue», tra la Settantaduesima Strada e la Terza Avenue, sulla Sessantottesima.

 

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Il tratto della Terza Avenue che attraversa Sunset Park, sormontato dalla Gowanus Expressway

 

Selby frequentò la Stuyvesant High School per un anno, ma nel 1944 la lasciò ed entrò nella Marina Mercantile, in cui suo padre aveva ricominciato a lavorare. Restò in servizio sino al 1947, quando contrasse la tubercolosi mentre era di stanza in Europa, poi passò i tre anni successivi a letto; dovettero rimuovergli dieci costole, e soffriva di problemi respiratori cronici, fra cui l’asma. Quando Hubert morì di broncopneumopatia cronica ostruttiva nel 2004, suo figlio disse al Times che si trattava di «una conseguenza permanente della tubercolosi che aveva preso mentre prestava servizio per mare durante la seconda guerra mondiale». Lasciato l’ospedale, Selby Jr. fece ritorno negli Stati Uniti nel 1950, stabilendosi di nuovo a Brooklyn e riallacciando la vecchia amicizia con Sorrentino, che al tempo stava studiando al Brooklyn College e frequentava promesse del panorama letterario come Robert Creeley e LeRoi Jones (ben prima che scegliesse di cambiare nome in Amiri Baraka). Insieme diedero vita a una rivista. «Fui il primo editore di Neon», scriveva Selby nel 1981. «Investii tredici dollari e cinquanta centesimi e non ho recuperato neanche un penny. Credo sia giunto il momento di detrarli dalle tasse». Incoraggiato dall’entourage di Neon, e senza solide prospettive di lavoro a causa della sua patologia cronica, cominciò a raccontare storie sulla gente con cui veniva a contatto all’interno del quartiere più degradato della sua città natale.

Oggi, diremmo che Ultima uscita per Brooklyn è ambientato in una porzione di Sunset Park, anche se molti, compresa buona parte dei collaboratori del New York Times degli ultimi trent’anni, hanno pensato si trattasse di Red Hook, soprattutto dopo che alcune scene dell’adattamento cinematografico di Uli Edel sono state girate lì. È un angolo unico di quella comunità eterogenea, i cui confini si estendono a est sino all’Ottava Avenue, la strada principale della Chinatown di Brooklyn: nel 1941, il celebre urbanista newyorkese Robert Moses fece costruire una superstrada sopraelevata sulla Terza Avenue, distruggendo quell’arteria commerciale un tempo brulicante di vita e separando la Prima e la Seconda Avenue dalla parte est del quartiere, isolandone il distretto industriale ed eliminando qualsiasi traccia di abitabilità fosse riuscito a mantenere, permettendogli però di conservare la sua natura manifatturiera.

Quella zona industriale si era affermata seriamente all’inizio del ventesimo secolo, quando il litorale sudovest di Brooklyn — a nord del tratto di costa di Bay Ridge, una sorta di antecedente degli Hamptons punteggiata di ville di proprietà dei membri dell’élite cittadina — ospitava ancora capanni da pesca, resti del non troppo remoto passato rurale dell’area. Nel 1890, Irving T. Bush ereditò il patrimonio di cui il padre, Rufus, era entrato in possesso quando la sua azienda era stata assorbita dalla Standard Oil, insieme a due appezzamenti di terreno affacciati sull’acqua, «utilizzati per scaricare ceneri e altri materiali di scarto della raffineria petrolifera», come riportato nel necrologio di Irving apparso sul Times nel 1948. Il figlio ed erede pensò di utilizzarli per ospitare uno scalo mercantile, che costruì nel 1902. Ci volle qualche anno perché ingranasse, e in quell’intervallo di tempo fu derisoriamente chiamato la «Follia di Bush» — la distanza dai principali nodi viari e commerciali cittadini scoraggiava i potenziali utilizzatori — ma il Bush Terminal si trasformò presto in quello che il necrologio sul Times del suo creatore avrebbe definito «una città a sé stante»: 80 ettari su trenta isolati, con otto giganteschi moli, diciotto stabilimenti industriali, 33 chilometri di binari ferroviari, 125 depositi e 300 laboratori manifatturieri che, nel periodo di massimo splendore, arrivarono a dare impiego a 25.000 persone al giorno. La scala complessiva dell’operazione spinse l’esercito a requisire il tutto durante la prima guerra mondiale, mentre edificava il proprio complesso a qualche chilometro di distanza. Giunto a completamento nel 1919, il Brooklyn Army Terminal non era ancora pronto al culmine della Grande Guerra ma si rivelò utile durante la successiva, quando da lì salparono tre milioni di soldati nonché 37 milioni di tonnellate di rifornimenti. Anche Elvis partì dall’Army Terminal quando fu arruolato nel 1958.

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Veduta aerea del Bush Terminal nel 1958

Il romanzo di Selby è ambientato negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, nel periodo di massimo splendore del Brooklyn Army Terminal, che si estendeva per sette isolati lungo la Seconda Avenue, a sud della Cinquantottesima Strada. È questo il primo riferimento geografico all’interno del libro: Selby comincia la narrazione con «Un’altra serata che si trascinava al locale del Greco […] vicino alla base militare di Brooklyn», com’era conosciuta al tempo. (Oggi, a una prima lettura, coloro che vivono nella zona sud di Brooklyn potrebbero pensare che il libro sia ambientato all’estremità meridionale della Fort Hamilton Parkway, dato che l’unica installazione militare ancora attiva a New York, Fort Hamilton, che si trova a circa tre chilometri a sud lungo la costa rispetto al Brooklyn Army Terminal, è colloquialmente chiamata “la Base Militare.”) Nel suo periodo migliore, il BAT dava impiego a 56.000 persone, inclusi quei soldati forestieri con cui gli sbruffoni impomatati di Selby attaccano briga nel racconto d’apertura, «Un altro giorno un altro dollaro».

 

Di tanto in tanto un soldato di fanteria o della marina entrava a mangiarsi un hamburger e a usare il jukebox. Ma di solito i militari mettevano qualche disco del cazzo di musica da campagnoli […] Se qualcuno metteva un disco di Lefty Frizzell o qualche altra porcheria country loro si lamentavano, facevano gesti con le mani (oddio! Che palle questo) e uscivano in strada.

 

Robert McNamara disarmò la base nel 1960, infliggendo a quell’area urbana un duro colpo dal punto di vista economico, tuttavia il complesso edilizio dell’Army Terminal è ancora in piedi: nel 1981, la città lo ha acquistato e riconvertito in zona industriale. (Il Bush Terminal ha conosciuto un simile – sebben più graduale – declino, in linea con la scomparsa del settore manifatturiero che ha coinvolto l’intera città e poi il Paese, ma parte di esso è tornata a nuova vita col nome di  «Industry City», ed è sede di cucine professionali che contribuiscono a dare impulso alla scena gastronomica artigianale brooklynese, orti urbani e altre attività, fra cui, presto, dei campi d’allenamento per i Brooklyn Nets.) A oggi il BAT ospita più di 70 imprese civili che danno lavoro a più di 2500 persone; istituzioni culturali come il Guggenheim e il Museo di Storia Naturale hanno lì alcuni dei loro uffici, così come il sindaco, il Dipartimento dei Trasporti, una serie di ditte e di istituti sanitari, e persino la Tough Mudder, società specializzata nell’organizzazione di eventi di endurance. L’Arsenale della Seconda Avenue, costruito dalla parte opposta della strada negli anni Venti e sgomberato negli anni Cinquanta, è stato convertito in magazzino privato, e la punta nordest della base accoglie una concessionaria Ford. Anche se arrivarci a piedi dalla metropolitana, passando sotto la tangenziale di Moses, non è piacevole, durante la settimana questo tratto della Seconda Avenue è animato da un traffico — di pedoni, veicoli e mezzi commerciali — che ricorda quello di certe zone di Midtown a ora di pranzo.

Tutto ciò anche grazie alla presenza del Lutheran Medical Center, responsabile in larga misura dello sviluppo e della trasformazione dell’area. Fu proprio in questa zona, infatti, che l’azienda ospedaliera aprì  il suo primo consultorio familiare nel 1967, tre anni dopo la pubblicazione del libro di Selby. Dieci anni più tardi, il Lutheran trasferì l’ospedale nella sua attuale collocazione sulla Seconda Avenue, tra la Cinquantacinquesima e la Cinquantaseiesima, e nei decenni successivi occupò la maggioranza degli edifici circostanti per ricavarne uffici, residenze per anziani e centri sanitari ausiliari, ricostruendo contestualmente il quartiere a propria immagine. Per la sua ubiquità, il Lutheran rappresenta per quella parte di Sunset Park ciò che la New York University rappresenta per il Greenwich Village. La sua impronta è presente ovunque, anche perché c’era molto su cui imprimere un’impronta. Stando a quanto riportato sul sito dell’ospedale, «nel 1967, la vibrante ed eterogenea comunità al margine sudoccidentale di Brooklyn, oggi conosciuta come Sunset Park, era una porzione dimenticata del quartiere di Bay Ridge. All’interno dell’area c’erano pochi posti di lavoro, ancor meno dottori, e quasi nessuna traccia di speranza». Sembra un po’ la descrizione di certi personaggi di Ultima uscita per Brooklyn!

 

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Il Lutheran Medical Center. Negli anni successivi alla pubblicazione del libro di Selby si rivelò un potente motore di riqualificazione della zona di Sunset Park

 

I pochi posti di lavoro disponibili in quest’area, prima dell’avvento del Lutheran Medical Center e della riqualificazione delle zone industriali, erano sui moli, nelle fabbriche e nei magazzini sopravvissuti al rovinoso smantellamento. Molti di questi edifici, in realtà, sono tuttora operativi: nel corso della passeggiata tra la Prima e la Seconda Avenue e le strade collegate, ho trovato insegne di imprese che vendevano legname, rivestimenti da parete, vetri per l’edilizia, carne all’ingrosso, servizi di saldatura, caldaie a noleggio, stoviglie ecologiche e molto altro. (La zona ricorda un po’ Kent Avenue prima che Bloomberg trasformasse l’economia di North Williamsburg da un sistema basato sulle piccole imprese a uno basato sul mercato degli immobili di pregio.) Selby non specifica mai l’ubicazione dello stabilimento metallurgico di «Sciopero», il lungo racconto sul sindacalista di basso rango, Harry, che si gode qualche piccola libertà durante un’astensione dal lavoro altrimenti deleteria, ma la fabbrica è situata a qualche minuto di corsa dalle ambientazioni principali del libro, ed è molto probabile che si trovi proprio in mezzo a queste ditte manifatturiere superstiti.

Selby scrisse di Harry e degli altri personaggi con una rabbia palpabile. «Non comprendiamo la vita finché non moriamo o non siamo vicini alla morte», disse in un’intervista del 1992, parlando della sua tubercolosi, «il che potrebbe avere un profondo legame con l’essenza della mia scrittura.» La vividezza delle descrizioni di Ultima uscita per Brooklyn destò lo sdegno di molti critici. La rivista Time lo definì «il libro per l’autunno più osceno della Grove Press». La Saturday Review affermò che Selby era «spinto a scrivere soltanto dal desiderio di risultare più nauseante, sessualmente violento, brutale, sordido e repellente di qualunque altro guastatore presente sulla scena letteraria». (Ovviamente, la polemica aiutò il libro a vendere, e l’accoglienza non fu del tutto negativa. «Prima che Ultima uscita per Brooklyn fosse pubblicato, Gil redasse un pezzo intitolato “L’arte di Hubert Selby Jr.”», scrive Selby nel 1981, riferendosi a Gilbert Sorrentino. «A quanto ho capito, la  Grove Press lo inviò insieme alle copie in anteprima del libro, in modo che i critici non si trovassero troppo spiazzati al momento di recensirlo. Sono convinto che questa scelta abbia avuto un grosso peso sulle critiche positive che il libro ha ricevuto».) In Italia il romanzo fu bandito dal commercio, e nel Regno Unito si trovò al centro di un monumentale processo per oscenità, culminato in «uno dei verdetti cruciali nel decretare la fine della censura nella cultura britannica», secondo The Guardian.

Il fulcro della Brooklyn di Selby si trova tra la Cinquantasettesima Strada e la Seconda Avenue, appena a nord dell’Army Terminal e a sud dell’attuale sede del Lutheran Medical Center. Quasi tutti i personaggi — eccetto quelli del racconto corale conclusivo, «Lafinedelmondo», che vivono nelle Red Hook Houses — mangiano dal Greco, «una tavola calda scalcagnata aperta tutta la notte,» o vanno a bere al vicino bar di Willie, e sullo stesso isolato si trova anche il quartier generale provvisorio dove il sindacalista Harry e i fattoni di benzedrina del luogo trascorrono buona parte di «Sciopero», scolandosi barili di birra. (È difficile stabilire se questi luoghi si trovino a nord o a sud di quell’incrocio, visto che i brooklynesi si dividono in base a cosa significa «all’inizio» o «alla fine» dell’isolato: alcuni usano questi termini a caso, per altri sono intercambiabili, per altri sottintendono dei punti cardinali. Come Selby stesso disse a un giornalista, «non ci sono molte descrizioni dettagliate nei miei libri. Non descrivo troppo le strade né altro, però mi sforzo di scavare più a fondo possibile nelle persone che abitano quelle strade. Credo sia questo che si sperimenta durante la lettura: l’effetto che fa vivere in quei posti».)

I piccoli esercizi commerciali con le vetrine sulla strada sono perlopiù scomparsi; sono le strutture ospedaliere costruite in un secondo tempo a occupare i luoghi in cui in passato dovevano sorgere bar e negozi, anche se sulla Cinquantottesima Strada, appena a ovest della Seconda Avenue, troverete il Cafe 58, una tavola calda e pizzeria molto meno malfamata della sudicia bettola in cui si riunivano i personaggi di Selby. In fondo all’isolato c’è una panineria chiamata Bari, che serve la nuova forza lavoro dell’ex porto militare. Qualche isolato più a nord, un fast-food Subway serve l’ospedale, così come l’alimentari che vende cibi biologici. Non ci sono più bar da quelle parti anche se, camminando verso est sulla Cinquantottesima, passando sotto la superstrada e procedendo fino alla Quarta Avenue, troverete un pub chiamato Irish Haven, il cui aspetto sordido si avvicina a quello che avreste potuto trovare il un posto come il bar di Willie (anche se l’attuale clientela è composta più da impiegati del Comune, da titolari di ditte di edilizia e dai loro figli benestanti che da operai ridotti ad automi).

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La ciminiera di una fabbrica, reperto degli anni in cui Sunset Park era un’area industriale, torreggia ancora sul quartiere

 

Selby non avrebbe riconosciuto nulla di tutto questo. Lasciò il quartiere più o meno nel periodo in cui cominciava a risalire dal nadir raggiunto nel dopoguerra, principalmente a causa dei suoi problemi di droga. La lotta contro la tubercolosi gli diede modo di familiarizzare con la morfina, il Demerol, la codeina, i sonniferi e l’eroina, e lo portò a fare un pesante uso di alcol, così si trovò a lottare contro la dipendenza. Cominciò a vagare da una costa all’altra, e nel 1967 fu arrestato per aver guidato sotto l’effetto dell’eroina. Si disintossicò da solo, isolandosi da tutti, e smise di bere due anni dopo, rimanendo pulito fino alla morte, ma nel 1983 abbandonò New York e le sue tentazioni, trasferendosi stabilmente a Los Angeles, dove insegnò scrittura creativa alla University of Southern California. A differenza di Sorrentino, che nei suoi romanzi rievocava spesso l’infanzia a Bay Ridge e dopo la pensione tornò a vivere nel suo vecchio quartiere, l’interesse di Selby per quei luoghi si affievolì. Ambientò gli altri romanzi in zone diverse della città — Requiem for a Dream più a sud, verso Brighton Beach e Coney Island, e il più tardo Il Salice nel South Bronx — e a tratti persino a Bay Ridge, o giù di lì. Il suo terzo romanzo, The Demon (1976), che ha per protagonista una sorta di Patrick Bateman ante litteram, la cui repressione sessuale finisce per sfociare in impulso omicida, inizia nel suo vecchio quartiere — dalle parti della Sessantacinquesima Strada, prima della costruzione, nel 1972, dei palazzoni popolari del comprensorio Mitchell-Lama — ma ben presto si sposta a Park Avenue e nei sobborghi a nord della città. Quasi ad ammissione della sua ambivalenza nei confronti di quell’area, nel corso di un incontro in un bar all’inizio del romanzo, Selby fa dire all’amico di Harry, il protagonista:

 

Sai qual è il tuo problema? Tolse la mano dalla spalla di Harry. Il tuo problema è che non sai cos’è la lealtà.
Come sarebbe a dire che non so che cos’è lealtà?
Quello che ho detto. Siamo tutti amici. Siamo cresciuti insieme nello stesso quartiere e cazzi vari, ma per te non significa niente.
Ma smettila. Sono leale quanto te o chiunque altro…
Sì, può darsi, sorrise, ma non lo dai a vedere. Sarai anche un cervellone e tutto il resto, ma sei un figlio di puttana…

 

Quello di lealtà, però, è un concetto stano: i personaggi delle opere di Selby difficilmente possono definirsi leali nei confronti dei propri cari, e soprattutto nei confronti dei loro vicini, e in una città come New York lo slancio verso lo sviluppo impedisce sempre al futuro di restare fedele al passato. Eppure, alcune vestigia sopravvivono. Una delle ambientazioni più importanti del libro è un terreno abbandonato all’angolo tra la Cinquantasettesima e la Seconda: è lì che Harry, ottenebrato dalla sua repressione sessuale, molesta un ragazzino nel finale di «Sciopero», e che la prostituta Tralala subisce uno stupro di gruppo nella scena più nota del libro. Oggi non c’è traccia di quel terreno: i quattro angoli dell’incrocio sono occupati da una stazione di servizio della Gulf, da un Dunkin’ Donuts (che ha di recente festeggiato la sua «riapertura in grande stile»), da una clinica costruita negli anni Settanta e da una residenza per anziani eretta nel 1995. Ma in questa parte di Brooklyn ci sono ancora molti terreni abbandonati — uno proprio in fondo all’isolato, tra la Cinquantasettesima Strada e la Prima Avenue — cosa sempre più rara in un quartiere in cui il valore degli immobili è schizzato alle stelle e non dà segno di voler tornare a cifre ragionevoli. All’incrocio tra la Sessantunesima Strada e la Seconda Avenue c’è un terreno incolto e recintato delle dimensioni di un piccolo palazzo; quest’estate fra le erbacce faceva capolino una rete a molle, macabro memento del triste destino di Tralala. «Credo che Bay Ridge non sia cambiata negli ultimi ottant’anni», dichiarò Selby a un giornalista nel 1999. Il violento degrado di Ultima uscita per Brooklyn sarà anche scomparso, ma — almeno per adesso, fino a quando un palazzinaro non riuscirà a convincere i nuovi ricchi della zona che il loro quartiere potrebbe essere la nuova Red Hook — l’atmosfera del romanzo persiste, e il fantasma letterario di Selby continuerà ad aggirarsi per le strade circondate da edifici in mattoni, in cerca di un posto in cui farsi una birra.

 

© Henry Stewart e Eric E. Anderson, 2014. Tutti i diritti riservati.

 

Henry Stewart è il vice-caporedattore di Opera News. Precedentemente è stato il caporedattore delle pagine culturali di The L Magazine, e alcuni dei suoi pezzi sono apparsi su Electric Literature, BAMbill e sul Brooklyn Eagle.

Eric E. Anderson lavora come web designer e sviluppatore per Squarespace. Abita a Bedford-Stuyvesant, ed è anche un fotografo freelance.

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