La mia città segreta

La mia città segreta

Rodrigo Hasbún Rodrigo Hasbún, SUR

Manca pochissimo all’uscita del nuovo romanzo di Rodrigo Hasbún: Gli anni invisibili.
Nell’attesa, abbiamo deciso di pubblicare tre testi inediti dell’autore, che sapranno poco a poco trasportarci nelle atmosfere del libro, e insieme regalarci piccole e luminose riflessioni sulla scrittura.
Ecco il primo brano, che tuffandosi in un passato nostalgico molto simile a quello rievocato nel romanzo ne racconta un elemento fondamentale: la città. La città del presente, ma anche quella dell’infanzia e dell’adolescenza, la città segreta alla quale sempre torniamo nel ricordo, e che spesso conserva moltissimo di noi. Buona lettura! 

di Rodrigo Hasbún
traduzione di Giulia Zavagna

 

Nella mia città segreta un gruppo di amici adolescenti gioca a calcio quasi tutti i pomeriggi in un campetto di terra su avenida Melchor Urquidi. Per qualche ora quei ragazzi sono Roberto Baggio o Ruud Gullit o El Pibe Valderrama, e le loro prodezze assomigliano a quelle che i loro idoli compiono in stadi gremiti. Nella mia città segreta è al tempo stesso il 1987 e il 1990 e il 1996 e il 1999 e il 2003 (l’anno in cui per la prima volta sono andato a vivere in un altro paese, l’anno in cui la mia vita si è divisa in due). Nella mia città segreta nessuno è ancora morto, e io accompagno tutti i sabati mio nonno Chepe al supermercato. Lui odora le arance e dà colpetti alle angurie e sorride quando qualche frutto lo riporta alla Palestina che ha lasciato cinquant’anni fa. Nella mia città segreta un italiano malinconico ha appena aperto un caffè chiamato Metrópolis. Spesso c’è uno studente di giornalismo che si rifugia lì per scrivere i suoi primi racconti invece di andare a lezione. In quello stesso caffè di solito incontra la ragazzina che gli insegna, in modo intermittente, ad amare e a fuggire dall’amore (anche lei se n’è andata dalla Bolivia e non è mai tornata). Nella mia città segreta è al tempo stesso febbraio e giugno e dicembre, e tutto si ripete infinite volte, e la prima e la terza persona si confondono. Nella mia città segreta io e i miei fratelli viviamo ancora insieme nella vecchia casa su Paseo del Prado. Di sera giochiamo a pietra, carta, forbice per decidere chi lava i piatti, e più tardi lottiamo per il telefono o il telecomando.

Ormai nulla di tutto questo esiste più, eppure ogni volta che torno a Cochabamba la mia città segreta emerge. Hanno messo dell’erba sul campetto di calcio in avenida Melchor Urquidi, eppure per me è ancora di terra. In quell’angolo di strada non c’è più il caffè Metrópolis, eppure c’è ancora il caffè Metrópolis, e sotto l’edificio circolare sul Prado, come se non l’avessero demolita, è ancora in piedi la casa in cui siamo cresciuti io e i miei fratelli.

Tornare in visita a Cochabamba è un esercizio di preservazione, di archeologia e di resistenza, di testardaggine. È anche una dimostrazione di lealtà nei confronti di certi fantasmi.

Scrivere, credo, è proprio tutte queste cose insieme.

 

© Rodrigo Hasbún, 2017. Tutti i diritti riservati

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