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Jorge Ibargüengoitia dice di sé stesso

Jorge Ibargüengoitia Autori, Ritratti, SUR

In attesa di sfogliare Messico istruzioni per l’uso di Jorge Ibargüengoitia pubblichiamo oggi un articolo dove lo scrittore messicano racconta sé stesso. Buona lettura!

di Jorge Ibargüengoitia
traduzione di Francesca Lazzarato

Sono nato nel 1928 a Guanajuato, una città di provincia che allora era quasi un fantasma. Il fidanzamento dei miei genitori durò vent’anni, il loro matrimonio due. Quando mio padre morì avevo otto mesi, e non lo ricordo. A giudicare dalle fotografie, direi che le occhiaie le ho ereditate da lui. Da adulto, ho trovato una sua lettera che avrei potuto scrivere io. Rimasta vedova, mia madre tornò a vivere con la sua famiglia e là rimase. Quando avevo tre anni ci trasferimmo nella capitale; quando ne avevo sette morì mio nonno, l’altro uomo di casa. Sono cresciuto fra donne che mi adoravano. Volevano che diventassi ingegnere: un tempo avevano denaro, lo avevano perduto e speravano che io lo recuperassi. Ero avviato su quella strada quando un giorno, a ventun anni e a due dalla laurea, decisi di lasciare la facoltà per dedicarmi alla scrittura. Le donne di casa deplorarono questa decisione per quindici anni – «Avremmo voluto» dicevano, «che diventassi ingegnere» –, ma poi si abituarono.

Ho scritto la mia prima opera letteraria a sei anni e la seconda a ventitré. Entrambe sono andate perdute. Entrato alla facoltà di Lettere e Filosofia, mi iscrissi al corso di Composizione drammatica tenuto da Usigli, uno dei più noti drammaturghi messicani. «Lei ha facilità per il dialogo», disse, dopo aver letto i miei scritti. E con questo mi segnò: divenni scrittore per sempre.

All’inizio sembrava che la mia carriera letteraria avrebbe preso la via del teatro[1] e sarebbe stata brillante. La mia prima commedia andò in scena con un certo successo nel 1954, la seconda nel 1955; entrambe sono state incluse in antologie del teatro messicano moderno; quando andò in pensione, Usigli mi indicò come suo successore, vinsi tre borse di studio una dopo l’altra – nel Messico di allora, l’unico modo per mantenersi scrivendo. Ma nel 1957 tutto cambiò: le borse di studio si esaurirono –avevo già ricevuto tutte quelle che esistevano –, una donna con cui avevo una tormentata relazione si stancò di me, mi lasciò e si tenne i miei corsi, inoltre scrissi due opere che non piacquero ai produttori. (Intervenne un fattore che nessuno aveva considerato: ho facilità per il dialogo, ma sono incapace di stabilirne uno con la gente di teatro.)

Seguirono anni difficili: feci traduzioni, scrissi copioni cinematografici, fui relatore ai convegni e autore di commedie per bambini, mi indebitai, me la passai male. Nel frattempo scrissi sei opere teatrali che nessuno volle mettere in scena.

Nel 1962 scrissi El atentado, il mio ultimo lavoro per il teatro. È diverso dagli altri: per la prima volta affrontavo un tema collettivo, con una trama basata su un fatto vero, la morte di un presidente messicano ucciso per mano di un cattolico nel 1928. Lo presentai a un concorso in Messico e non successe nulla, lo mandai a Cuba e nel 1963 vinse il premio Casas de las Américas. Per quindici anni le autorità messicane non lo proibirono, ma raccomandavano ai produttori di non metterlo in scena, «perché trattava poco rispettosamente» una figura storica. Venne rappresentato per la prima volta nel 1975.

Da El atentado ricavai un doppio beneficio: mi chiuse le porte del teatro e mi aprì quelle del romanzo. Mentre mi documentavo, infatti, trovai dei materiali che mi diedero l’idea di scrivere un romanzo sull’ultima fase della rivoluzione messicana, basandomi su un genere diffuso nel Messico di quell’epoca: le memorie di un generale rivoluzionario. (Molti generali, invecchiando, scrivevano le loro memorie per dimostrare che erano stati gli unici ad avere ragione.) Scritto nel 1963 e intitolato Los relámpagos de agosto,[2] il romanzo vinse il premio Casa de las Américas nel 1964, fu pubblicato in Messico nel 1965, è stato tradotto in sette lingue e oggi, diciassette anni dopo, si vende meglio che mai.

Il successo di Los relámpagos è stato, più che clamoroso, di lunga durata. Non mi ha fatto guadagnare un patrimonio, ma ha cambiato la mia vita, facendomi capire che la narrativa è il mezzo di comunicazione più adatto a un asociale come me: non bisogna convincere attori o impresari, si arriva direttamente al lettore, senza intermediari, in silenzio, attraverso pagine scritte che l’altro legge quando vuole, come vuole, tutto d’un fiato o un po’ per volta, e se non ne ha voglia non le legge, senza offendere nessuno – nel commercio librario non esiste nulla di paragonabile quelli che russano la sera della prima.

Oltre a Los relámpagos ho scritto cinque romanzi e un libro di racconti che, a volerli classificare, si dividono facilmente in due filoni: quello delle vicende collettive, cui appartengono Los relámpagos de agosto (1964), Maten al león (1969)[3] – la vita e la morte di un tiranno latinoamericano –, Las muertas (1977)[4] – opera basata su noti fatti accaduti in un bordello – e Los pasos de López – che si ispira agli inizi della guerra di indipendenza messicana. Gli avvenimenti presentati in questi romanzi sono reali e conosciuti, i personaggi sono immaginari. L’altro filone è più intimista, spesso umoristico, a volte sessuale. Ne fanno parte i racconti di La ley de Herodes (1967), Estas ruinas que ves (Premio Internacional de Novela «México», 1974) e Dos crímenes (1979).[5]

Nel 1965 ho conosciuto Joy Laville, pittrice inglese residente in Messico, siamo diventati amici, poi ci siamo sposati e attualmente viviamo a Parigi.

(Vuelta, marzo 1985)

 

[1] Jorge Ibargüengoitia, Teatro, prefazione di Diego Sìmini, tr. di D. Sìmini, L. Pisanello e F. Castellano (Pensa Multimedia 2008).

[2] Le folgori di agosto, Vallecchi 1973; 2a ed.: I lampi di agosto, a cura di Angelo Morino, Sellerio 2004.

[3] Ammazzate il leone, tr. di Angelo Morino, Feltrinelli 1984; Sellerio 2005.

[4] Il caso delle donne morte, a cura di Angelo Morino, Einaudi 1989; Le morte, Sellerio 2004.

[5] Due delitti, tr. e note di Angelo Morino, Sellerio 1999.

© Jorge Ibargüengoitia, 1985. Tutti i diritti riservati.

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